Ha un nome che evoca immagini da film, ma la realtà che rappresenta era tutt’altro che cinematografica: Alligator Alcatraz, il campo di detenzione per migranti eretto in poche settimane nelle Everglades, nella Florida profonda, verrà chiuso entro 60 giorni per ordine di un giudice federale. Una pronuncia che suona come un autentico “schiaffo” al pugno duro dell’amministrazione Trump.

La giudice Kathleen Williams, della Corte distrettuale di Miami, ha stabilito che il campo — un accampamento di tende e barriere elettriche costruito su un’ex pista isolata — ha danneggiato irreparabilmente un ecosistema prezioso, violando leggi ambientali e minacciando specie protette. La sentenza sottolinea inoltre che l’installazione era illegittima anche alla luce degli impegni presi per la tutela delle Everglades da parte dei leader politici locali.

Nel frattempo, il governo della Florida ha presentato ricorso, portando il caso davanti alla Corte d’appello di Atlanta. Per ora, la costruzione è stata fermata: non verranno portati altri immigrati nel campo e ogni infrastruttura — dalle recinzioni ai generatori — dovrà essere rimossa entro la scadenza dei 60 giorni.

Ambientalisti e attivisti per i diritti umani hanno accolto la decisione come una vittoria storica. Ma l’eco della battaglia risuona ben oltre: con l’ipotesi di nuovi centri in altre zone della Florida e il governatore DeSantis pronto a rilanciare la sua agenda in nome della sicurezza nazionale, la partita resta ancora aperta.

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