Chi di voi ricorda la serie televisiva Miami Vice, avrà sicuramente notato come Crockett fumasse senza sosta, e così i suoi colleghi, le sue colleghe, il suo capo, e anche i trafficanti che puntualmente cercava di mettere al fresco.

Fonte:The Miami Vice Community

Non importa che fosse in barca, in ufficio, in auto, per strada o nella sala d’aspetto di un ospedale. Al giorno d’oggi invece è alquanto raro imbattersi in un fumatore per le strade di Miami. La cosa salta all’occhio soprattutto a noi italiani, che non solo ricordiamo le scene dei film americani degli anni ’80, ma anche, soprattutto se fumatori, consideriamo il fumo addirittura un modo per socializzare. Si avverte la sensazione che fumare in pubblico sia visto come socialmente degradante, si ha quasi vergogna a farlo.

Ma come si è arrivati da una società di fumatori ad una smoke-free, considerato che negli anni ‘50 fumava il 58% della popolazione adulta maschile ed il 36% di quella femminile (pensate che metà di questi fumatori erano medici), e nel 2016 si è scesi al 17.5% della popolazione adulta maschile e il 13.5% di quella femminile?

(fonte: Michael Cummings e Robert Proctor per il Dipartimento di Sanità Nazionale, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3894634/, e Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, https://www.cdc.gov/tobacco/data_statistics/fact_sheets/adult_data/cig_smoking/index.htm ). 

Pubblicità anni ’50. Fonte:Daily Mail

A partire dall’inizio del ventesimo secolo fino agli anni ’60, il consumo di sigarette negli Stati Uniti ha avuto una crescita esponenziale grazie alla produzione meccanizzata ed a massicce campagne pubblicitarie. Lo status di fumatore all’inizio era uno status privilegiato, diffuso soprattutto tra le fasce più ricche e colte della popolazione che hanno permesso al fumo di diventare una sorta di “Status Simbol” a cui aspirare. Nel giro di pochi anni era diventato un “Vizio Universale”, e fumare era possibile ovunque, perfino negli ospedali. Negli anni ’50, tuttavia, la letteratura medica ha iniziato ad evidenziare una stretta correlazione tra il consumo di sigarette e il cancro ai polmoni, fino a che, nel 1964, il rapporto del Comitato Consultivo dei Medici Chirurghi ha definitivamente sancito che “fumare provoca il cancro”. Da quel momento gli Stati Uniti hanno iniziato la loro lotta al fumo, riuscendo a bandire del tutto le pubblicità al tabacco nel 1971 e introducendo campagne antifumo in modo capillare attraverso media e istituzioni. Inoltre, le accise governative sono state innalzate al punto che in alcuni stati raggiungono quasi il 50%.

Fonte nosmokingawareness.wordpress.com

Se prima il fumatore aveva uno status privilegiato, ora viene additato come un attentatore alla salute pubblica, grazie alle massicce campagne di informazione e prevenzione contro gli effetti del fumo passivo che si sono susseguite a ritmi serratissimi negli ultimi 50 anni.

Ma chi è il fumatore “tipo” americano? Uno studio, (https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/67/wr/mm6702a1.htm?s_cid=mm6702a1_w ) pubblicato il 19 gennaio 2018 dal Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) fa emergere che la maggior parte di coloro che ancora fumano è di sesso maschile, ha tra i 45 e i 64 anni, ha un basso livello culturale, a volte neanche il diploma di scuola superiore, vive nel Midwest al di sotto della soglia di povertà, è disabile e soffre di stress psicologico. Come asserito da Debbie Seals (volontaria di un centro antifumo in Virginia) al Washington Post, la povertà ed il disagio sociale spingono le persone a fumare per avere un qualche controllo sulla propria vita.

Non stupitevi, dunque, se a Miami a fumare si fanno vedere solo i turisti….

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