James Robart, il “picconatore” del decreto immigrati

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Lo stop temporaneo  al  decreto presidenziale che ha suscitato tante polemiche e proteste.A “cassare” il decreto ci ha pensato il giudice James Robart, magistrato federale di Seattle che ha bloccato temporaneamente l’ordine esecutivo firmato da Trump il 27 gennaio scorso. Il magistrato ha  stabilito che la causa intentata da due Stati, prima quello di Washington, poi quello del Minnesota, ha fondamento. Quindi, applicazione delle restrizioni all’ingresso negli Usa di cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana, stabilite dal bando è  temporaneamente sospesa. Una decisione che il Dipartimento alla giustizia non ha mandato giù  e contro la quale  ha presentato ricorso urgente in corte d’appello federale. Ma il mondo corre più veloce dei ricorsi. E le compagnie aeree, a poche ore dalla sentenza di sospensione ,hanno adottato immediatamente le nuove direttive della giustizia americana. Air France, Qatar Airways, Lufthansa e Swiss hanno comunicato che saranno imbarcati tutti i passeggeri con documenti in regola per recarsi negli Stati Uniti. Tutti,  anche i passeggeri provenienti  dai sette Paesi nel mirino di Trump (Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen). E  la decisione  del magistrato di Seattle, definita  dalla Casa Bianca “scandalosa” (aggettivo poi ritrattato!), ha galvanizzato il  mondo politico americano.

Noah Purcell, vice procuratore generale dello Stato di Washington esulta. “È un grande giorno per lo stato di diritto in questo Paese”. Senza mezzi termini  il governatore Jay Inslee, per il quale la vittoria del suo Stato dimostra come “nessuno, neppure il presidente, sia al di sopra della legge”. Ma la protesta sta montando  in moltissime altre città Usa da cui sono partite azioni legali contro il provvedimento, impugnato da molti magistrati e associazioni, oltre che da alcuni Stati. Tra questi, lo  Stato delle Hawaii  che ha chiesto di bloccarne l’applicazione su tutto il territorio statunitense in quanto incostituzionale. Sostegno alla causa  anche da parte di Amazon, Expedia e Microsoft. Avanti con i “picconatori”!

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