MIAMI – L’unica certezza che abbiamo è che saranno in tanti ad andare a votare. Il tasso di affluenza molto probabilmente sarà il più alto per le elezioni di midterm dal 1966. Forse qualcuno potrebbe pensare che a una sorta di forte riscatto democratico dopo le presidenziali del 2016, con una massa di milioni di americani, delusi dal programma di Trump che è pronta ad andare a votare consegnando il Congresso ai Democratici con un’ampia maggioranza, dimostrando che due anni fa si era verificata un’anomalia e che nel giro di poco la politica americana sarebbe tornata nell’alveo della normalità. Ma non andrà così. La sensazione è che i repubblicani non abbiamo intenzione di tornare all’era di Bush, McCain e Romney proprio come i democratici non vogliano tornare al Clintonismo. E il mondo repubblicano è uscito più coeso che mai dalle udienza sul caso Kavanaugh. In poche parole queste elezioni sono in bilico e tutto può accadere, con la sensazione che stia iniziando una nuova era della politica che andrò a sostituire quella che ha caratterizzato la storia americana dalla seconda guerra mondiale fino a Obama. Quello che sembra essere più probabile è che avremo un verdetto diviso, con i Repubblicani che sono pronti ad aumentare il loro vantaggio al Senato (FiveThirtyEight avvalora l’ipotesi con l’83,3% di possibilità) e i Democratici in vantaggio alla Camera (87,3% di possibilità). Anche se nelle ultime ore di numeri nei sondaggi si stanno muovendo rapidamente e in casa democratica si è deciso di aumentare la spesa nella campagna elettorale a difesa dei collegi storici che sono definiti sicuri. Per fare un esempio, il senatore Bob Mendez nel New Jersey e il rappresentante Jim Costa nella San Joaquin Valley, in California, avrebbero i repubblicani a ruota. I Democratici si sono resi conto di aver annunciato troppo presto una vittoria a queste elezioni e così hanno ridotto progressivamente le aspettative. E i suoi avversari dovrebbero ricordare che Trump ha ottenuto più voti di ogni altro Repubblicano della storia, gode di popolarità nel suo partito e sta guidando il paese in una fase di boom economico accompagnata dal più basso tasso di disoccupazione dal 1969. Stranamente invece il presidente nei suoi comizi continua a puntare su altri temi, dalla sicurezza interna alla pausa di infiltrazioni terroristiche, fino allo spettro delle ondate migratorie. L’economia trova poco spazio nei suoi discorsi. Probabilmente perché la Cina sta rallentando mentre l’Europa è vicina alla crescita zero ed è poco verosimile che gli Stati Uniti continuino a crescere a un ritmo superiore al 3,5% all’anno. Ma forse si è accorto che i collegi in cui si deciderà l’esito di queste elezioni, sono quasi tutti in zone di media borghesia. Le più difficile da conquistare con gli spauracchi su sicurezza e immigrazione, ma anche le più complesse da avvicinare parlando semplicemente di contabilità economica.

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